Milioni di parole sono state scritte per descrivere lo stato d'animo medio di una neo mamma, centinaia di frasi sono state buttate in aria e su carta per raccontare il disagio di un cambiamento di vita che può sconvolgere nel suo essere meraviglioso e nel quale si intersecano talmente tanti fattori da non essere facilmente individuabili, ma che sono raccontate a meraviglia dal libro "Latte nero" di Elif Shafak (lo consiglio a tutte le donne, mamme, in attesa e non).
E tra tutte queste parole, potevano forse mancare le mie? Sì, potevano benissimo mancare, ma perché limitarmi?
Dire che non sono felice sarebbe una bugia; sono molto più che felice e sarebbe impossibile dire il contrario.
Ma ci sono giorni, giorni più fragili, in cui la guardo dormire e la vedo così tremendamente piccola, così minuscola che il mio cuore perde un battito e comincio a chiedermi se sarò mai in grado di proteggerla, di crescerla e di far sì che sia sana e felice.
Oppure giorni in cui piange disperata, in cui sono più stanca e mi sento più sola, in cui la ninno tra le braccia con zero risultati, pregando perché mia figlia mi spieghi cos'ha (cosa impossibile, visto che la massima interazione di cui è attualmente capace è strabuzzare gli occhi quando fa la cacca. Ecco, si parla di cacca, visto?) e mi chiedo: "Ma chi me l'ha fatto fare? C'ho un lavoro in cui sono brava, competente, dove capisco sempre come devo comportarmi per risolvere i problemi... e mi sono buttata in questa cosa che non sono capace di fare! Ma come ho fatto??"
E' normale, dicono.
Ed è vero, perché poi passa. I giorni neri si diradano, la voglia di piangere diminuisce e anche gli altri cominciano a capirla meglio.
Gli ormoni, dicono, tornano normali.
Col tempo.
Ma la realtà è che credo sia normale avere paura. Paura di sbagliare, di fare involontariamente del male alla cosa più bella e preziosa che io abbia mai visto, ma così fragile da sembrare di cristallo.
Almeno finché non piange, lì già dimostra un bel caratterino.
Avrà preso dalla mamma...